Bollettino ORSEA n. 8

Introduzione al bollettino n. 8

(Dott. Lucio Maciocia, Referente Uff. di Coordinamento ORSEA)

             Il Bollettino ORSEA è un rito, come già evidenziato dal nostro Direttore Generale, ormai limitato ad una volta l’anno, che si ritaglia uno spazio nella scansione dei tempi, tra la programmazione e l’attonita consapevolezza dello scorrere del tempo, quasi a forza. Ogni anno bisogna, io per primo, ricorrere ad uno sforzo di motivazione per ritagliare lo spazio ed il tempo per adempiere a questo rito. Come ogni rito, il Bollettino ORSEA è inserito nella liturgia dell’ORSEA, è il momento in cui si tracciano resoconti e si concretizza su carta tutto quello realizzato e gli impegni del prossimo anno. Ogni anno si fanno i conti con un bilancio lusinghiero, motivante, soddisfacente e con la consapevolezza che la macchina messa in moto è molto grande e che, nonostante il fatto che ci sia un notevole abbrivio che la fa andare da sola, diventa sempre più problematico, per tutti, ritagliare spazi e tempi per coltivare il pensiero necessario alle azioni da svolgere. Anno dopo anno, con caparbietà, si consolidano i rapporti con scuole tradizionalmente vicine e nuove se ne sommano. E tutto questo sta avvenendo tramite azioni di programmazione, inserimenti mirati nel POF, azioni formative, con progetti complessi basati sulla compartecipazione e sulla pari dignità tra operatori della salute e docenti e personale della scuola.

D’altro canto, ad ogni inizio di nuovo anno scolastico, ricevo le solite telefonate dalle scuole in cui, tradizionalmente, abbiamo aperto centri di informazione e consulenza e mi trovo, con sempre maggior frequenza, a rispondere, che siamo sempre di meno, che ho bisogno di tempo per individuare risorse, ecc. Spesso mi trovo anche a pensare tra me e me, come mai i messaggi che provengono da queste scuole arrivino sempre fuori tempo massimo, come mai proprio quella scuola che, con qualche evidenza, manifesta problematicità e difficoltà varie, non riesce a cogliere per tempo le occasioni, e, ad ogni inizio di anno, puntuale come una cambiale, si rinnova il rito della richiesta dello sportello CIC o dell’intervento estemporaneo. So che lo sportello, in questa situazione, è una sorta di presidio, di occupazione di uno spazio temporale in attesa che, dall’interno della scuola, emerga una qualche richiesta, una domanda di aiuto formulata con più consapevolezza, un barlume di evidenza delle difficoltà che gli educatori vivono in quella scuola. Noi, dal canto nostro, sappiamo bene che uno sportello CIC, da solo, non può arginare un bel niente.

Mi permetto un paragone molto forte e, forse, scorretto: nella pratica clinica dell’intervento con le tossicodipendenze, vi è una fase, più o meno lunga, in cui il paziente convive tranquillamente con la propria cronicità, si rivolge al servizio ma solo per la terapia sostitutiva o per gli adempimenti e le emergenze connesse alla propria vita tossica. Noi siamo lì, fiduciosi del fatto che per poter essere di reale aiuto al soggetto, bisogna che scatti in lui la consapevolezza di una necessità e una richiesta di essere aiutato ad operare trasformazioni nella vita quotidiana e nel modo di pensare, comportarsi, agire. Senza questa domanda iniziale il vero lavoro trasformativo non inizia. Tutto quello che si può fare è presidiare quel minimo di tempo concesso ad una necessità di “cura” identificata con la sostanza psicotropa sostitutiva. Non si cambia la realtà del soggetto, la si accetta così com’è in attesa “attiva”, pronti a sfruttare ogni minimo accenno di richiesta di senso per rafforzare la motivazione al cambiamento. La stessa cosa sembra avvenire in alcune scuole: la situazione è grave, spesso per oggettiva difficoltà (la tempesta di cambiamenti imposti alle scuole non può restare senza conseguenze), le evidenze di “emergenze” continue esplodono fino a diventare normalità, sempre più docenti cercano di salvarsi adottando strategie di disimpegno e quelli di buona volontà continuano a caricarsi dei problemi del mondo, accettando implicitamente deleghe impossibili da sostenere (sono questi i candidati al burn out). Ogni anno, al telefono, mi ritrovo a parlare con questi docenti referenti che rinnovano la richiesta di attivazione dei CIC o di conferenze e incontri con gli studenti senza un contesto di riferimento e senza che emerga qualcosa di diverso da una delega, quasi a voler testimoniare che se non ci fossero queste “emergenze” distraenti, la scuola andrebbe avanti senza nessun problema, ed io impietosamente e crudelmente sottolineo che la loro scuola non ha fatto richiesta di altro, che hanno perso il treno, che siamo in difficoltà perché in quella scuola, bene che si va, condivideremo la solitudine del docente referente.

            Come nel caso del paziente cronicizzato, anche l’istituzione scolastica può “cronicizzarsi” e gestire una quotidianità fatta di attacchi e fughe, assenze e ritardi, emergenze e isole felici.

            A volte rivelo a me stesso di essere proprio presuntuoso, poi mi consolo dicendomi che gli operatori della ASL, nonostante tutto, sono i migliori disponibili sul mercato, quelli più formati, quelli che possono contare su una istituzione che ancora regge e che, oltre noi, c’è ben poco o non c’è affatto, se non a pagamento, ed i servizi a pagamento di solito muoiono quando i soldi finiscono.

            Nelle scuole che hanno aderito, con richiesta formale e con inserimento nel P.O.F. , ai progetti promossi dalla ASL di Frosinone, dall’ORSEA, abbiamo cercato di attivare una trasversalità di azioni che passa attraverso una architettura di sistema basata su processi gruppali e sulle azioni di singoli inseriti in gruppi di lavoro. Ho proposto di chiamare tutto questo con “nuclei di resistenza attivi”, nel senso che, in periodi di vacche magre e di scarse risorse, non si può che resistere, ma resistere a cosa? Non resistere contro le pressioni di qualcuno, ma resistere nelle posizioni di “senso” e di “servizio” consone ad un servizio pubblico. Resistere nel senso di aggrapparsi ad una visione etica professionale e responsabile del proprio ruolo, resistere nel senso di rispettare la missione di servizio, nel cercare di mantenere vivo il senso di quello che si pensa e si fa; resistere nel senso di non lasciarsi travolgere dalle emergenze e dalle mode. Questa resistenza si traduce, poi, in una attività: è una resistenza di pensiero che produce programmazione e servizi, che produce azioni congruenti e conseguenti. E in questa resistenza non si può essere soli, o meglio, la responsabilità individuale delle proprie scelte, dei propri pensieri e delle proprie azioni rimane un faro centrale, ma subito dopo occorre che si formi un “nucleo” con cui condividere  pensieri, senso dei pensieri  e azioni conseguenti. Questi nuclei, nel caso della promozione della salute a scuola,   sono nati all’interno della ASL Frosinone e sono cresciuti sotto l’ala protettiva dell’ORSEA. Il passo successivo è stato quello di cercare e trovare l’occasione e le opportunità per individuare analoghi “nuclei” all’interno della scuola, coinvolgendo soprattutto i docenti. Ci sembra che, al momento, abbiamo consolidato l’incontro tra questi due nuclei in una ventina di scuole superiori e, da quest’anno, stiamo iniziando a confrontarci con altrettante scuole medie di primo grado. Con alcune di queste scuole stiamo procedendo alla costituzione di “nuclei” anche tra gli allievi. Il concetto di gruppo dei pari, nella nostra pratica di “resistenza” si è allargato, coinvolgendo gruppi di operatori della salute, gruppi di docenti, gruppi di dirigenti Scolastici, gruppi di allievi e promuovendo occasioni di interazioni tra questi gruppi creando le occasioni attraverso l’utilizzo di progetti specifici (Unplugged, Filo di Arianna, le Life skills, l’integrazione, ecc.). Quello che stiamo cercando di affermare, nella pratica delle nostre azioni, può essere condensato in sei aspetti fondanti:

1)     Una etica della responsabilità;

2)     Una concezione di “servizio” aliena dal servilismo, generatore di risentimenti e ostilità, ma che si concretizza, invece, in obiettività del lavoro, in attività rituale, in qualità, in bellezza.

3)     Una attenzione alla “manutenzione”, intesa come la necessità, nei lavori che si basano essenzialmente sulla qualità della relazione, di curare i rapporti, lubrificarli periodicamente, facilitando la consuetudine di rapporto. Comunemente in Italia si torna periodicamente a parlare, in conseguenza di catastrofi naturali, della necessità di attivare manutenzioni periodiche del territorio, vale a dire curare il rapporto tra ambiente e uomo, allo stesso modo c’è la necessità di curare i rapporti e la manutenzione periodica dei rapporti tra uomo e uomo;

4)     La promozione di una “comunità di pratica” concetto certamente più nobile ed accettabile, anche scientificamente, rispetto a “nuclei di resistenza attiva”. Le comunità di pratica sono rappresentate da gruppi professionali che interagiscono tra loro e che costruiscono una pratica condivisa e scientificamente accertata che produce i cambiamenti indicati.

5)      L’adozione della metodologia basata sulle life skills educations e gruppo dei pari per la promozione della salute, sia tra gli studenti che nei contesti educativi (a tutti i livelli).

6)     Recuperare uno spazio di pensiero critico, di analisi della domanda e del contesto, di recupero del “senso” che possa guidare l’azione o, al limite, che possa recuperare l’istintività di un gesto appassionato e sincero.

Relativamente alla necessità di improntare l’intervento di promozione di salute e la sanità pubblica  su valori etici, proponiamo una rassegna dell’importanza dell’etica secondo Tannahill (2008):

-       portare beneficio: attenzione focalizzata sui miglioramenti della salute della popolazione non solo del singolo individuo (efficacia degli interventi nella realtà)

-       evitare il danno (attenzione a bilanciare benefici-danni nella popolazione generale perché un intervento che porta beneficio ad alcuni può recare danno ad altri)

-       equità nella salute (giustizia sociale e distributiva)

-       rispetto (stima di sé a livello individuale e rispetto per quanto gli altri fanno e per come lo fanno, a tutti i livelli dall’individuale alla comunità)

-       empowerment individuale e di comunità, ossia il processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita (Wallerstein, 2006)

-        sostenibilità (nel tempo, attenzione alle risorse umane e ambientali, sviluppo sostenibile, programmazione politica)

-       responsabilità sociale condivisa per la salute (Rootman et al, 2001; Lamprecht e Stamm, 2005; VicHealth 2006)

-   partecipazione (fare le cose con le persone, non alle persone o per le persone) (Ripamonti 2011)

-  apertura/trasparenza (uso dei principi etici, documentazione, dialogo costruttivo)(Tennyson, 2006; Noack, 2006)

-        possibilità di rendicontare (Accountability) rispetto ai risultati, all’uso delle risorse, alla conformità ai valori etici della promozione della salute, in 5 livelli di governo: clinico, finanziario, del personale, ambientale, etico.

 

Relativamente al punto 4, la comunità di pratica presuppone lo sviluppo di un processo di  costruzione di competenze, inteso come  sviluppo di conoscenza, abilità, impegno, strutture, sistemi e leadership per rendere la promozione della salute efficace. Essa comprende azioni volte a migliorare la salute su tre livelli: la crescita di conoscenze e abilità tra gli operatori, l’incremento di supporto e infrastrutture dedicate alla promozione della salute nelle organizzazioni, lo sviluppo di coesione e collaborazioni per la salute nelle comunità.

Infatti, la competenza dei singoli promotori della salute è una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere una promozione della salute efficace. Il sostegno da parte delle organizzazioni all’interno delle quali e con le quali lavorano è altrettanto importante per l’implementazione efficace di strategie di promozione della salute. A livello organizzativo ciò può comprendere la formazione degli operatori, la messa a disposizione di risorse, il disegno di politiche e procedure utili per istituzionalizzare la promozione della salute e lo sviluppo di strutture dedicate alla progettazione ed alla valutazione in promozione della salute.

 

Una corretta sintesi di questa strategia complessiva è contenuta nel primo capitolo del libro “Educare alla Responsabilità – Life skills education e peer education”, nel capitolo dedicato alle linee di indirizzo: “L’obiettivo è quello di raggiungere nei diversi contesti – in forme che non possono essere definite una tantum – appropriate articolazioni tra servizi e reti territoriali. Per realizzare efficaci interventi di educazione alle competenze per la vita e educazione tra pari è quindi necessario che in ogni Regione sia attivato un sistema basato su:

- un’unità operante in sede regionale e a livello di singola ASL, capace di dare indirizzo a processi e  percorsi educativi di varia natura (team di indirizzo nel campo LSE/PE);

- una rete di soggetti in grado di aderire ai bisogni di contesti scolastici e realtà territoriali attraverso specifici contenuti e metodologie validati attraverso il supporto tecnico-scientifico e organizzativo del team di indirizzo.

Per sistema di sviluppo della life skills education e della peer education su base locale si intende quindi un insieme strutturato di processi e  percorsi educativi alla cui messa a punto e implementazione partecipano diverse istanze, soprattutto in ambito scolastico e sanitario, con la cooperazione di una pluralità di attori presenti nelle reti dello sviluppo economico e sociale a livello locale.

In questo senso il sistema rappresenta: a) un insieme dinamico di pratiche di riferimento per l’azione su scala locale; b) un insieme di criteri relazionali i quali possono regolare in forma reticolare i rapporti tra sub-sistemi che insistono sullo stesso territorio regionale o sub-regionale. Tali sub-sistemi possono infatti trovare all’interno del sistema schemi di interazione e cooperazione basati non su una modellistica astratta ma sulle soluzioni di volta in volta più efficaci sul piano delle pratiche e del trattamento riflessivo delle pratiche stesse.”

  

La comunità di pratica che si è attivata attorno ai progetti ORSEA (UNPLUGGED, Life skills, Filo di Arianna, soprattutto questi rispetto agli altri progetti inseriti all’interno delle attività istituzionali di ciascun servizio), sta esercitando un potere competente per produrre significativi cambiamenti nello stile di vita dei contesti educativi e di convivenza. E’ la ricerca di un modo di esercitare il potere che non sia soltanto vessazione dell'Altro, dominio, tirannia, dispotismo, ma condivisione, entusiasmo, apertura mentale, ascolto, leadership come servizio, empatia, senso estetico, persuasione, autorevolezza, capacità di cogliere il momento opportuno, intuizione, riflessione, concentrazione. La possibile soluzione sta, forse, nel coniugare il potere con l'amore.

Esiste una prospettiva, nel mondo del lavoro, degli affari, dell'economia, che può trasformare il potere da chiave di autoaffermazione in possibilità di apprendimento, di relazione, di crescita armonica, servizio, manutenzione e desiderio di accostarsi ad un senso estetico. Esiste il potere di ridare equilibrio alle scelte, di esprimere giustizia nei confronti delle persone e delle cose, di promuovere la bellezza, di diffondere amore, di persuadere senza doversi imporre, di esprimere carisma senza necessariamente essere o diventare famosi, di acquisire prestigio senza inganno e mistificazione, di guidare senza intimorire (e rinunciando al sottile piacere che l'incutere timore ci dà).

La nostra comunità di pratica rivendica la ricerca di un potere, il potere delle idee.

Concludo proponendo una citazione, ripresa anche questa dal libro di _James Hillman (recentemente scomparso) “Il potere”:

Non è possibile migliorare il servizio semplicemente rendendolo più efficiente, cioè rapido, senza attrito, privo di errori… Un buon servizio, così come è definito dagli standard dell’elite benestante, non deve essere impersonale ma invece personale e individualizzato… Per avere un buon servizio si richiede semplicemente “qualcuno con cui parlare, che sappia fare bene e con cortesia quello che chiedo”. (id; pp. 86-87)

Non ci resta quindi che… “…amplificare l’opposizione che esiste fra produttività e servizio; è assolutamente necessario tenere nettamente distinti questi due concetti, perché nascono da atteggiamenti psicologici radicalmente differenti. (id; pag 88)

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